Essere un Ethical Hacker non è una condizione, ma un processo in continua evoluzione. Nel mondo dell’ informatica (e in particolare della cybersecurity) tutto cambia continuamente e non ci sono mai due giornate di lavoro uguali: sistemi operativi, applicazioni web, linguaggi, infrastrutture, tecnologi. L’unica costante è il cambiamento.
Spesso si suggerisce di aggiornare i dispositivi all’ultima versione del software disponibile. Questo è valido anche per l’Ethical Hacker. Proprio come per i dispositivi che a mano a mano, update dopo update colmano le falle di sicurezza via via scoperte, è condizione imprescindibile di chi voglia garantire la sicurezza informatica l’essere il più possibile aggiornato su, virtualmente, ogni ambito che interessi l’uso di dati e informazioni che si vogliano proteggere.
Ciò che fa differire però un Ethical Hacker (anche detto “white hat”) da un “normale” esperto di sicurezza è la metodologia che impiega per cercare di imitare e, se possibile, anticipare le mosse dell’hacker non etico (l’attaccante, il cosiddetto “black hat”).
L’Ethical Hacker attacca ciò che vuole proteggere, cerca le vulnerabilità più nascoste, prova ogni attacco disponibile e ne inventa di nuovi facendo ciò che farebbe un malintenzionato, ma a fine “etico”: in questa maniera riesce a trovare le debolezze dei sistemi che deve proteggere e trova il modo di rafforzarli.
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