In uno studio commissionato da una primaria istituzione finanziaria italiana a leader di mercato dell’information technology ho trovato una frase che mi ha colpito:
“[...] le DLT prevedono inoltre la possibilità di distribuire geograficamente i nodi della rete, aumentando il livello di resilienza a fronte di attacchi o eventi locali”.
Ormai il significato dell’acronimo DLT dovrebbe essere noto a tutti, ma qualora qualcuno non lo sapesse deriva dalle iniziali delle parole Distributed Ledger Technology, in italiano, tecnologia a registro distribuito.
Quali sono gli usi delle Distributed Ledger Technology?
Si tratta ovviamente di quell’ampia gamma di soluzioni derivate da Bitcoin per via di un dato oggettivo molto interessante: grazie a Bitcoin, per la prima volta nella storia della tecnologia un oggetto digitale ottiene molte delle caratteristiche tipiche di un oggetto fisico, tra cui la più rilevante è l’univocità.
Un Bitcoin, infatti, pur essendo rappresentato da una semplice sequenza di byte, non può essere duplicato come qualsiasi file o informazione digitale. Questa caratteristica rende la tecnologia derivata da Bitcoin uno strumento innovativo dal potenziale ampissimo e ciò spiega l’interesse per istituzioni finanziarie e leader del mercato IT/TLC.
Riassumendo i vantaggi dei DLT in uno slogan, possiamo dire che se il Cloud Computing ha eliminato i single point of failure, i DLT eliminano anche i single Point of Control. Ovvero vengono rimossi quegli strumenti di controllo e amministrazione che ogni sistema informatico prevede per poterlo governare e che tuttavia permettono anche di fermare il sistema e duplicare o modificare i dati che produce e conserva.
Un DLT rende impossibile interrompere il servizio e alterare il registro, anche ai suoi amministratori.
Le caratteristiche tecniche della DLT
Questo scenario sembra un po’ surreale, ma da più dieci anni Bitcoin e centinaia di reti derivate, funzionano esattamente così, senza punti di controllo che possano essere usati come back door per attaccare il sistema.
Tuttavia, tornando allo studio dell’importante leader di mercato, non sempre le soluzioni proposte (o volute) dagli operatori di questo settore sono in linea con il modello funzionale di Bitcoin.
In particolare, la “possibilità di distribuire geograficamente” i nodi della rete, non è affatto una possibilità e neppure una scelta. È una esigenza funzionale, parte essenziale dell’architettura.
Anche rimanendo ad un livello di analisi molto alto, basta osservare che la D di DLT sta per Distributed e ovviamente un sistema distribuito non ha senso sia composto da nodi installati nello stesso luogo fisico. Se poi entriamo appena un po’ nel merito della tecnologia è facile scoprire che i DLT non sono effettivamente strumenti innovativi sotto il profilo tecnologico.
In realtà un nodo Bitcoin o di qualsiasi altra rete derivata, è basato su componenti ampiamente utilizzati da decenni, come normali server, database e protocolli di rete. L’innovazione dei DLT sta tutta nell’architettura di queste reti, prive di un centro di controllo, ovvero è un’innovazione di tipo organizzativo.
A questo punto la distonia di quella frase dovrebbe essere evidente, ma immagino possa sorgere spontanea una domanda: se manca una autorità di controllo del sistema, un’autorità garante del suo corretto funzionamento e della qualità del servizio, come ci si può fidare che il sistema sia effettivamente sicuro ed affidabile?
Questa domanda, riformulata, si può porre anche in termini più specifici: come è possibile attribuire valore a un oggetto digitale intangibile e gestito da una rete non amministrata da alcuna autorità finanziaria?
La risposta è abbastanza articolata, ma si può riassumere così: un DLT effettivamente decentralizzato, i cui nodi non sono controllati da un unico ente, è in grado di garantire la qualità dei dati memorizzati nel registro. In breve, si dice che un DLT pubblico produce “consenso distribuito”.
Il consenso distribuito è la vera innovazione delle blockchain e di Bitcoin, ma non è così facile da ottenere come può apparire a prima vista.
Ma quindi conviene usare le DLT?
Infatti, sebbene le blockchain e i DLT siano state sperimentate per “certificare” le più svariate tipologie di informazioni, dall’origine del pollo alla qualità dell’aria, l’unica informazione che effettivamente le blockchain sono in grado di gestire è un’informazione nativa della blockchain stessa: la quantità di assets digitali presenti in un certo indirizzo.
Tutte le altre informazioni, essendo “nate” fuori e poi inserite nella blockchain, sono solo contenute, rendendo la blockchain un semplice e scomodo database funzionalmente simile ai sistemi di conservazione sostitutiva.
Produrre consenso distribuito su una generica informazione è molto più complesso di quanto non appaia a prima vista e soprattutto non ha senso farlo né con reti pubbliche nate per gestire solo la moneta digitale, né con reti private, per definizione non distribuite e non decentralizzate.
Ne parlo con dovizia di particolari nel libro “IOTA 2.0 - Superare il trilemma della blockchain”, spiegando perché, tra le tante soluzioni, IOTA si candida a essere la prima rete pubblica realmente utilizzabile per creare applicazioni distribuite in ambito industriale e finanziario.